La Biennale apre agli artisti-artigiani
Il Sole24 ore

di M. Mau
29 maggio 2015
Un po’ come l’Angelus Novus di Paul Klee, la Biennale internazionale d’arte, in collaborazione con il Victoria ed Albert Museum di Londra, entra nel futuro dedicando il Padiglione Venezia agli artigiani digitali (e non) del Veneto.
Una piccola rivoluzione culturale, con le storie, i prodotti e i volti di artisti-artigiani della manifattura made in Italy. «Nove storie esemplari del Veneto, il primo passo di una ricerca alla quale la Biennale intende dedicare parte delle sue energie» dice Paolo Baratta. Sembra una frase buttata lì, ma è come se fosse l’ultimo colpo di piccone sul muro che separa la sapienza artigianale dall’arte, l’una la continuazione dell’altra, come sanno benissimo gli esperti della materia, ma non fino al punto di spalancare le porte del tempio più formale e anticonvenzionale dell’esibizione artistica - la Biennale, appunto - ai prodotti del saper fare italiano.
Aldo Cibic, designer vicentino di fama e curatore del padiglione Venezia, ha accettato con entusiasmo la proposta della Biennale. «Racconteremo i metodi, le modalità organizzative, i rapporti di bottega che illustrano il nascere dei lavori».
Con Cibic brinda Stefano Micelli, direttore della Fondazione Nordest, economista di Cà Foscari e autore di Futuro Artigiano, un piccolo best seller di Marsilio (oltre 20mila copie vendute) che segna un punto di svolta decisivo nella comprensione e nella narrazione del potenziale incorporato nell’artigianato italiano. Dice Micelli: «Il legame tra cultura e manifattura ha trovato finalmente una delle sue vetrine più prestigiose». Il professore di Cà Foscari elenca le grandi istituzioni culturali che hanno dedicato rassegne intere al saper fare italiano: dal Victoria e Albert Museum di Londra, con la mostra The power of making, che non a caso è partner della Biennale, al New Museum di Manhattan.
Micelli è il paladino del saper fare e delle scuole politecniche, oggi chiamate burocraticamente Ipsia (Istituti professionali di stato per l’industria e artigianato), i luoghi dove si forma l’artigiano prossimo venturo. Il paradosso italiano è anche questo: il mondo inneggia ai prodotti del made in Italy, ma non esiste alcuna campagna di orientamento e reclutamento dedicata a chi vorrebbe entrare in bottega come facevano gli artisti rinascimentali a Venezia o a Firenze. La Biennale in un colpo solo riscatta una serie di errori compiuti dal ministero della Pubblica istruzione e le amnesie delle istituzioni economiche.
Le nove storie esemplari raccontate al padiglione Venezia sono le stesse di cui scriveva Micelli in Futuro Artigiano nel 2011: una su tutte, la fabbrica lenta, un nome che sembra un ossimoro. A Molvena, in provincia di Vicenza, Giovanni Bonotto, figlio d’arte, ha comprato i vecchi telai meccanici che le fabbriche colpite dalla crisi del tessile svendevano o regalavano. Non ne ha fatto un museo, ma ha inserito i vecchi telati in un processo produttivo dove macchine ad alta tecnologia suppliscono ed esaltano la tessitura di quelli antichi. Una sinfonia dalla quale prendono forma tessuti contesi dai marchi di moda più famosi al mondo.

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