La moderna bottega Rinascimentale di Giovanni Bonotto
Un ritrovato modo di gestire un'impresa

Sigaro Toscano
30 luglio 2014
Vi raccontiamo una storia dalla trama straordinaria, fatta di persone capaci di creare cultura esaltando il gusto delle sfumature, di luoghi dove si lavora per recuperare le nostre radici, e di comportamenti che rappresentano un elogio della lentezza, un’antitesi della standardizzazione.
A Firenze le Manifatture Sigaro Toscano hanno incontrato la Fabbrica Lenta di Giovanni Bonotto, un imprenditore del nordest italiano che ha scelto di cambiare passo rivalutando la cultura delle mani. Quarantacinque anni, direttore creativo, con il fratello Lorenzo guida l’azienda tessile alla quarta generazione, fondata nel 1912 da Luigi Bonotto per realizzare, in origine, cappelli di paglia. Produce ed esporta in tutto il mondo, dopo aver ricreato l’eccellenza della bottega rinascimentale. A Bonotto, che ha sviluppato un suo modo originale di vivere l’impresa, viene naturale mescolare il saper fare della tradizione artigianale con gli stimoli della creatività contemporanea. E’ così che può permettersi di dribblare il conformismo globale.
I tessuti che oggi prendono forma nello stabilimento di Molvena valorizzano il DNA italiano, un concentrato di creatività, tecnica, memoria. E finiscono per diventare materia prima di marchi del lusso come Hermès, Vuitton, Armani, Prada.
Non poteva andare altrimenti all’artigiano tessile formato da Umberto Eco al Dams di Bolo- gna, cresciuto in casa a pane e arte, trapiantato a Nagoya per imparare la professione dai migliori tessitori giapponesi, volato in Patagonia per vivere al fianco degli allevatori.
Il padre Luigi, imprenditore illuminato e mecenate, aveva sviluppato la bella abitudine di ospitare gli artisti, offrendo loro un luogo dove sentirsi liberi di creare. E così Giovanni Bonotto è venuto su con il vantaggio di considerare Yoko Ono e John Cage come persone di famiglia.

E’ cresciuto circondato da personalità di spessore culturale. Come ha influito sulle sue scelte?
“L’incontro con gli artisti mi ha destrutturato il pensiero. Il mio fare è stato impollinato da logiche alternative a quelle che si trovano vivendo in provincia. Senza questi maestri non avrei maturato dei pensieri paralleli come la Fabbrica Lenta”.

Quanto conta l’arte per un imprenditore che vuole creare qualità e valore?
“Oggi l’arte apre la testa e la rende fluida per cercare ed accogliere nuovi mondi e modi.
Questo momento che ingenuamente è vissuto come crisi è in realtà un terreno fertile per nuove possibilità di cambiamento. Mai come adesso sono possibili nuove formule, anzi c’è una grande sete di risposte che la politica non riesce a dare.
L’arte invece rende il pensiero fluido, e questo permette di nutrire nuove visioni”.

Quale ruolo ha avuto la Fabbrica Lenta nella costruzione della notorietà dell’azienda e dei prodotti?
“La Fabbrica Lenta non è un concetto di marketing. Vuole essere un nuovo modello manifatturiero. Abbiamo perso la sfida del costo industriale, e quindi siamo obbligati a lavorare nell’immateriale. Fortunatamente, noi italiani siamo degli incubatori di creatività: abbiamo però bisogno di qualcuno che ci dia il coraggio di ricostruire la nostra cultura contemporanea, che è il nostro vero prodotto industriale”.

Il tessuto con cui si sente più a suo agio?
“Il cotone primordiale dallo Zimbabwe, perché è primitivo e verace. E’ contro la standardizzazione Ogm che ha omologato tutto il cotone prodotto nel mondo”.

Quale è stato il primo tessuto ideato e lavo- rato con le macchine recuperate, oggi al centro della fabbrica?
“Il guanaco andino. Abbiamo impiegato un anno per organizzare con il governo argentino la cattura temporanea di questi bellissimi camelidi selvatici. Dopo la tosatura li abbiamo rimessi in libertà”.
Con queste premesse, la ‘prima volta’ di un tessitore al Pitti Uomo di Firenze si è trasformata in evento. La scelta di Bonotto: parlare del proprio lavoro attraverso una selezione di tessuti nati dall’incontro ravvicinato del fashion con il food. Materiali rari e in tiratura limitata, interpretati con il contributo di un gruppo ristretto di produttori, tutti coinvolti per descrivere in una modalità moderna la grande tradizione artigianale che vive dentro l’industria del nostro Paese.
Per le Manifatture Sigaro Toscano è stato facile entrare in sintonia con questa filosofia del fare. Alla base del dialogo con Bonotto ci sono valori comuni come la Qualità e la Memoria.
Gli altri partner dell’avventura sono il Gruppo Schneider con i suoi cashmere, i chicchi di caffè Illy, l’aroma del vino Amarone Masi, i mirtilli neri Rigoni, il cacao Domori.
A MST Bonotto ha chiesto le foglie di tabacco Kentucky toscano. Il loro incontro con il vello della lepre patagonica è stato perfetto. Le foglie di tabacco una volta bagnate sono rifiorite. Passate in una pentola si sono incontrate al caldo con la lana, emanando profumi straordinari. L’alchimia ha generato un tessuto che stimola i sensi, e conquista con l’aroma e la morbidezza al tatto, proprio come un buon sigaro toscano. Ognuna delle sei ‘pezze d’autore’ presentate alla Fortezza da Basso è unica, speciale. Gli ingredienti, scelti personalmente da Bonotto, sono stati trattati secondo il metodo della Fabbrica Lenta. Le lane pregiate sono state prima ‘cucinate’ con le nuove sostanze, poi passate per i telai degli anni Cinquanta da maestri artigiani che hanno riscoperto le tecniche di produzione del dopoguerra, mettendo di nuovo la manualità al centro del ciclo produttivo.

E nel prossimo futuro?
Ho mescolato lane pregiate e food spinto dalla voglia di mettere in contatto mondi diversi che generino nuove seduzioni.
Adesso sto imparando a filare i fiori...

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